10 aprile 2013

The Impossible

Sono successe tante cose nel mondo dopo quella tragica catastrofe naturale del 2004, ma rispolverare la memoria collettiva non fa mai male. A prendersi l'onere di riportare alla mente quei tragici momenti che tutti abbiamo seguito con estrema angoscia (chi da vicino e chi in maniera più distaccata) è il regista Juan Antonio Bayona, che si avvale di un cast principale in prestito dall'America e di una produzione spagnola per realizzare il suo The Impossible, sceneggiato da Sergio G. Sànchez che si ispira alla storia vera raccontata nel libro autobiografico di Maria Belòn. Ad impersonare la protagonista c'è la straordinaria Naomi Watts affiancata da Ewan McGregor nei panni del marito e il giovanissimo Tom Holland in quelli di Lucas.
A portare a casa il risultato è l'impatto visivo e la dura visione di Bayona, che utilizza i vecchi effetti scenici (l'acqua che vedete sullo schermo è quasi tutta vera) per mantenere il più possibile il contatto con la realtà, dando libertà alla fantasia degli addetti al make-up che trasformano i bei volti di due stelle di Hollywood in terribili superstiti con tanto di lividi realistici e grotteschi, a dimostrare che il vecchio modo di fare cinema è ancora il migliore strumento per raccontare una storia, aiutato da una computer grafica non invasiva che si limita a rifinire le sequenze e a riempire i quadri per migliorare il tutto. Dall'altra parte, però, la sceneggiatura scricchiola laddove dovrebbe essere invece più solida, ovvero nei dialoghi tra i protagonisti, che spesso scivolano nel ridondante e nel melenso spezzando quel senso di realismo che si era creato grazie alla sapiente mano di Bayona che non si limita ad utilizzare consolidati ed efficaci effetti visivi, ma che ci mette del suo alternando meravigliosi piani sequenza e serrati campi e controcampi con una impressionante conoscenza del mezzo. Anche l'inserimento delle musiche di Fernando Velàzquez appare qui e là un po' troppo forzato: i momenti che funzionano meglio sono infatti quelli in cui predominano gli effetti sonori e i terribili rumori delle onde, degli aerei e di tutto quanto circonda i protagonisti, suoni e silenzi che non potranno mai essere sostituiti da pompose arie musicali che ricordano agli spettatori che stanno guardando un film e non un tragico documentario. Anche la fotografia di Oscar Faura rischia in alcuni punti di scivolare nel "già visto", regalando un paio di momenti poco incisivi e leggermente scontati, nonostante il risultato complessivo del lavoro di Faura sia ottimo, anche grazie all'utilizzo di luce naturale. Ma questi piccoli lati negativi possono essere tradotti in realtà come due o tre consistenti ancore di salvezza all'interno di una visione cinematografica terribilmente sconvolgente e disturbante al punto che chi assiste alla pellicola potrebbe rischiare di uscire da questa esperienza più scombussolato di quanto in realtà il regista non voglia. C'è quindi un tentativo di appigliarsi alla componente melodrammatica del film che non piacerà a chi cerca un'opera forte e tremenda dall'impatto visivo continuamente opprimente e snervante, ma che potrà arrivare in questo modo ad un pubblico più vasto e capace di appassionarsi ai protagonisti e alle loro vicende, i quali regalano a chi vorrà ascoltarli un messaggio di umanità e di collaborazione reciproca molto importante, ma con una sicurezza fondamentale, ossia che la disperazione che ci attanaglia quando si perde qualcuno non è mai tanto forte quanto la gioia che si prova quando lo si ritrova. E di film catastrofici in grado di proporre al pubblico questa tematica in maniera originale e convincente ce ne sono davvero pochi.


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