22 maggio 2013

La Prima Cosa Bella

C'è chi lo dà per superficiale, scontata, a volte pure "paraculo", tuttavia questa simpatica pellicola di Paolo Virzì non è proprio una delle cose peggiori che possa capitarvi di vedere nella vostra vita. Certo, racchiude alcuni dei più ovvi cliché dell'italiano medio, riassumibili in "la mamma è sempre la mamma", il titolo rimanda ad una canzone come è ormai di moda nelle commedie italiane e la vicenda non è raccontata in maniera propriamente originale. Nonostante questi difetti, La prima cosa bella è un film che si lascia piacevolmente guardare senza il dover girare la testa dall'altra parte o chiudere gli occhi ad ogni inquadratura, per via di una storia intima e personale, narrata affinché la maggior parte del pubblico possa ritrovarsi in essa. Alcuni momenti sono davvero divertenti ed è interessante il modo in cui Virzì fonde il presente e il passato e costruisce il racconto attorno ai tre personaggi principali, quasi fossero un unico protagonista, proprio come dovrebbe essere una famiglia (al contrario di altri nuclei familiari analizzati dal livornese nei suoi film).
L'amore fuoriesce da ogni scena, risultando a tratti anche melenso ed evidenziando come la figura femminile abbia una maggiore forza caratteriale rispetto al maschio: tra amore materno, fraterno e di coppia, a tenere il tutto legato con la colla è sempre la donna, che si vede sempre costretta a subire violenze (fisiche e psicologiche) da uomini a volte volenti e a volte ignari di ciò che stanno combinando. E la coerenza con cui Virzì racconta e propone al pubblico questa tematica ci permette di sorvolare anche sugli altri problemi di questo film, come l'incapacità di osare enfatizzando tematiche importanti. La violenza sulle donne e il problema della droga sono solo due dei temi che purtroppo non hanno il giusto spazio all'interno del lavoro e che fanno storcere il naso allo spettatore più esigente, mettendo in mostra il fatto che queste non sono cose su cui sorvolare in maniera così superficiale una volta portate alla luce. Ma il percorso che fa Virzì è un altro, ovvero quello di voler raccontare la capacità di un sentimento come l'amore di dimenticare i problemi e di perdonare anche il più drammatico dei torti, facendoci riflettere su quanto di giusto e di sbagliato c'è all'interno della vita dei personaggi e riuscendo comunque a trovare un punto in comune tra pubblico e pellicola. Troppo buonista? Eccessivamente melenso? Forse, ma Virzì è anche questo, e ogni volta che si mette in gioco il rischio di scivolare verso zone così scontate e ovvie, e certamente questo progetto non è uno dei più riusciti del livornese, che si è fatto notare per pellicole ben più interessanti, tuttavia il messaggio di fondo è interessante e risolleva il morale e, nonostante le argomentazioni troppo poco approfondite di cui abbiamo parlato qualche riga fa, trovare all'interno del filone italiano una commedia semplice ma efficace, simpatica e leggera, un po' zuccherosa ma nemmeno tanto, con una (forse troppo) dolce rilettura del sentimento amoroso, non può fare che bene, all'interno di una produzione in cui il "cattivo" (passatemi il termine) è sempre mostrato come una persona brava e giustamente furba e dove l'amore è ormai solo un lontano ricordo.


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