23 maggio 2013

Un Mondo Perfetto

Titolo completamente antitetico rispetto al tema raccontato dal film, perché il protagonista della storia scritta da John Lee Hancock è un criminale fuggitivo che si sta dirigendo verso il confine assieme ad un bambino che è tenuto come ostaggio, tra i quali nasce ben presto un rapporto confidenziale che si trasforma in amicizia e che sarà il motore portante di una narrazione fantastica ricca di tematiche drammatiche e riflessive. Ad arricchire il tutto c'è la caccia all'uomo guidata da un onesto ranger che sarà pronto a fare il suo dovere quando arriverà il momento, ma che dovrà scontrarsi anche con un'accozzaglia di sottoposti non tanto onesti quanto lui. Se Gli Spietati ha segnato per tutti la fine del cinema western, Clint Eastwood continua a guardare dietro di sé con occhio nostalgico e mette in scena Un Mondo Perfetto, ovvero quello che si può dire il degno seguito delle vicende narrate dal Premio Oscar come Miglior Film del 1992.
Se prima la parola "giustizia" era qualcosa di finto, confuso e frainteso, utilizzata da persone che dovevano essere portatori esecutivi di quel termine in un mondo in cui essa veniva fatta in maniera diversa e personale da ogni essere umano, in questa nuova società di massa per Eastwood e per la sua cinematografia le cose non sono cambiate più di tanto e alla fin fine chi ha la meglio è sempre quello che spara per primo. L'autore americano affianca ad un eccellente Kevin Costner un piccolo T.J. Lowther, un bambino che ha l'onere di essere il portatore del discorso più importante, dedicato ad un'innocenza macchiata dalla quale, ad un certo punto, non si può più tornare indietro e che segna un drammatico e drasticamente fondamentale passaggio nella vita di ogni persona. Sorvolando però su questi discorsi comunque interessanti e ingiustamente accantonati da me per necessità analitiche (sarà, questa, una rapida analisi più che un saggio breve sul film), ciò che è veramente dominante in questa pellicola è la volontà di Eastwood di sottolineare quanto la legge del più forte, quella che dominava le vecchie pellicole western e, più in generale, il "vecchio Nuovo Mondo", sia ancora attuale e tristemente vigente. Con il suo fare burbero e minaccioso, sarà proprio il personaggio di Costner a raddrizzare più torti nel suo cammino che non le forze dell'ordine, che si concentrano su un solo uomo evaso e che si disinteressano ai meno importanti crimini che ognuno commette all'interno delle proprie abitazioni e dei quali certamente nessuno è a conoscenza. Il film riesce poi a prendere la piega giusta già dall'inizio, attirando lo spettatore verso quello che parte come un action movie dai toni divertiti (le battute non mancano, come la memorabile scena in cui Costner spiega la differenza tra minacce e fatti) per poi passare in maniera molto ben calibrata ad un vero e proprio dramma interiore che mette in comune tutti i personaggi e a causa del quale nessuno di essi può regalare allo spettatore una morale positiva o anche solo abbozzare qualcosa di felice, perché tutti vengono corrotti da quella orribile invenzione dell'uomo che è la pistola. Già da Gli Spietati Eastwood aveva cominciato una silente e sottintesa critica alle armi e con questo film sottolinea ancora una volta il suo discorso, senza smettere mai di far riflettere lo spettatore su questo tema e ricordando a tutti che ci sono passi che vanno ponderati molto intensamente prima di essere fatti, e la sequenza a casa di Mack ne è il più chiaro esempio, sia dal punto di vista di Costner che da quello di Lowther. Sono comunque troppo poche, come ho già accennato, le righe che dedico a questo film, sul quale si potrebbero scrivere almeno venti pagine, tirando fuori morali e dibattiti davvero importanti e fondamentali per tutta la filmografia di Eastwood, ma ciò su cui voglio farvi riflettere con questa breve analisi è il fatto che il Far West e le leggi che lo regolavano non sono morte come Clint voleva farci credere col suo precedente lavoro, bensì si è solo modificato il contesto all'interno del quale esse agiscono. Un'opera cruda mascherata da pellicola come tante e che, assieme a Gli Spietati, ha segnato la svolta di carriera di un regista che a poco a poco è diventato sempre più Autore. Un colpo da maestro ingiustamente trascurata dal pubblico, che darà a tutti molto più che un po' di pellicola diretta divinamente, che lo abbiate già visto oppure no.


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