29 agosto 2013

La Piccola Bottega degli Orrori

Un simpaticissimo film che piano piano è stato dimenticato nel corso degli anni, ma che ancora oggi riesce ad incantare e a divertire. Uscito dalla penna di Charles B. Griffith, questo piccolo gioiello di black comedy offre molti spunti a ciò che sarà il futuro del genere, giocando con il macabro e il grottesco e riuscendo a convincere pur nella sua esagerazione. Merito, questo, di un ritmo ben calibrato da parte del regista Roger Corman, che sfrutta la componente più importante per un film come questo, ovvero l'alchimia tra i personaggi messi in scena. Non c'è mai calo di ritmo o di attenzione da parte dello spettatore, nonostante la veneranda età di questo film, e gli attori fanno in modo che tutto quanto funzioni alla perfezione, a cominciare dall'eccentrico protagonista Jonathan Haze, dipendente del fioraio proprietario del locale all'interno del quale si svolge buona parte della storia interpretato da Mel Welles, che vede crescere all'interno del suo negozio un misterioso ibrido creato proprio dal suo dipendente e in grado di risollevare le sorti di una bottega destinata a chiudere a causa degli scarsi introiti.
Peccato però che questa pianta abbia bisogno di nutrirsi, ma non di insetti, come tutte le piante carnivore, bensì di carne umana, sangue caldo e pezzi di corpo. Tuttavia la disperata caccia al capitale e il crescere sempre più smodato dei guadagni impedisce al titolare di distruggere il vegetale per continuare invece a trarne profitto a discapito delle povere vittime, ovviamente non senza qualche drammatica e terrificante conseguenza. Ma, nonostante qualche lieve picco di tensione e alcuni elementi macabri non indifferenti, Corman mantiene il tono ironico dall'inizio alla fine (ci vorranno ancora vent'anni e un certo Tim Burton per cambiare le regole della black comedy) senza sviare dal focus principale, quello di commedia - com'è giusto che sia per questi anni - ma comunque offrendo al pubblico un prodotto particolare e pienamente convincente, che si basa su una non tanto debole critica alla ricerca di notorietà (da parte del protagonista, sempre più al centro dell'attenzione man mano che la pianta cresce) e di denaro (da parte del proprietario, incapace di denunciare il fattaccio alla polizia) al punto di commettere crimini imperdonabili e atti terribili che si ritorceranno poi contro di loro. Insomma, non c'è solo un affascinante e divertentissimo Jack Nicholson in un breve ma incisivo cammeo all'interno di questo film, ma tutto ruota attorno ad una società vista con occhio critico e realistico da parte di Corman e Griffith, regista e sceneggiatore pronti ad esagerare la realtà fino a renderla grottesca e surreale, ma mai incredibile. Si gioca sullo stereotipo della pianta "carnivora" rendendola davvero tale, ma non ci si scorda mai di dare quel tocco di credibilità e autoironia ai dialoghi e ai personaggi stessi, mantenendo quindi un piede ben saldo all'interno del mondo che ci circonda, evidenziando non solo la caccia al denaro e al potere di cui sopra, ma anche l'occhio bigotto e disattento di una società che grida alla meraviglia laddove invece ci sarebbe bisogno di additare, indagare, condannare e perseguire a norma di legge (i detective ne sono il più chiaro esempio). Magari il pubblico di oggi, soprattutto quello più giovane, potrebbe ridere ad ascoltare il "gnam gnam" della pianta ogni volta che si nutre (c'è ben poco da ridere, visti gli anni le varie idee di regia, montaggio ed effetti speciali sono assolutamente efficaci ed è uno spettacolo vedere quanto si siano impegnati per rendere il film il più realistico possibile), ma il risultato è convincente, riflessivo e geniale e il consiglio è quello di recuperare assolutamente questo film cercando di guardarlo con gli stessi occhi con cui lo ha inquadrato il regista.


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